martedì 6 dicembre 2011

Una vita al cinema: Antoine Doinel



Antoine Doinel aveva quattordici anni nel 1958. Già ma chi era Antoine Doinel? E cosa mai dovrebbe importare a noi della sua età? Antoine Doinel non esiste, almeno nel senso che, a cercare, non se ne troverebbe traccia in alcuna anagrafe di Francia. Ecco un primo punto fermo, in ogni caso: Antoine Doinel è francese. Meglio, era francese. Antoine Doinel infatti è morto: è morto senza essere mai davvero esistito. Ecco una seconda certezza.
Una terza è che amava le donne. Le amava tutte. Si crucciava del fatto che non ci desiderino, noi uomini, come noi desideriamo loro, "a priori, sistematicamente, fisicamente e astrattamente e sempre per quello che sono: le gobbe per la loro gobba, le borghesi per il loro cappellino, le pudibonde per la loro virtù, le grasse per i loro cuscinetti e le magre per le loro ossa".
Non era però un Don Giovanni, Antoine Doinel. Non era un collezionista di donne. Men che meno era un macho (non disprezzava le donne, le amava davvero). Aveva troppo tenerezza in cuore, per sopportare anche la sola idea d'esserlo, Don Giovanni o macho. Era troppo entusiasta, troppo indifeso. Pensava che essere donna sia "un mestiere di cui Dio è l'unico padrone".
Tutte qualità positive le sue? Non sarà che essendo morto, di lui si dica quel che si dice di ognuno, quando non c'è più? Non stiamo per caso seppellendolo nella memoria? Non lo stiamo forse idealizzando per sbarazzarcene, per metterci una pietra sopra, come si dice con un'immagine crudele che non lascia dubbi?
Converrà adunque aggiungere che era un sornione, che rubava e che mentiva. E questo solo per cominciare, a proposito dei suoi innumerevoli difetti. Era sornione come un vecchio gatto solitario, Antoine Doinel (era sornione e felino già nel nome). Aveva l'aria svagata. Ma gli bastava intravvedere due begli occhi, magar tra gli scaffali di una libreria (amava i libri, quasi quanto le donne), perchè subito diventasse vigile e pronto, soprattutto nello sguardo. Proprio come un gatto. Poi per avere quei due begli occhi, fingeva arrendevolezza, sottomissione, ma finiva sempre per fare di testa sua. Non era quel che si dice un uomo esemplare.
"E' scaltro - diceva un tale che lo conosceva bene, meglio di ogni altro -  ha del fascino e ne approfitta, mente e ancor più spesso dissimula e richiede più amore di quanto egli stesso ne possa offrire." Era sornione, appunto. Ma non c'era niente di premeditato in lui, nulla di insincero, niente di volgare. Era sempre in buona fede. In ogni caso, ne dava l'idea: "Ha l'aria così sincera quando mente che si ha l'impressione che sia lui la prima vittima delle delle sue stesse bugie".
Rubava, Antoine Doinel, e mentiva anche. Ma forse si dovrebbe dire che mentendo non faceva che rubare. Una volta, proprio nel '58, aveva cercato di giustificare l'assenza da scuola, dicendo d'essere dovuto andare ai funerali della madre. Una bugia madornale. Una bugia senza speranza. Eppure detta a freddo, confidando in una ancor più madornale faccia tosta. In gioco c'era la libertà, il diritto di rincorrere i propri amori.
Era stato al cinema infatti, quel ragazzino di quattordici anni. E là, nella sala buia, aveva rubato un sogno a occhi aperti (poi, per completezza, nell'atrio aveva anche rubato la foto di un'attrice). La bugia, dunque, era il mezzo per tenersi quel che aveva rubato , e per continuare a rubarlo. Non ci stupisca se, da ventenne, mentiva alle donne per avere i loro baci. I baci rubati, infatti sono i più dolci. Un comportamento infantile, quello di Antoine Doinel? E' fuori di dubbio.
Antoine Doinel è morto quasi quarantenne senza però essere mai diventato adulto. "Desidera essere felice - ha scritto lui quel tale bene informato - ed è come se non riuscisse a conservare, una volta raggiunta, la felicità o qualcosa che le somigli. E' un uomo in fuga." Fuggiva dal presente. Si rifugiava nella memoria del passato o nel sogno del futuro. "Dovrebbe smettere di fuggire - ammetteva ancora la stessa fonte, nel '78, quasi contro voglia - [...] saper cogliere il presente... smetterla di regolare i suoi conti con la madre attraverso tutte le ragazze che incontra..."
Se l'avesse smessa, Antoine Doinel sarebbe cresciuto. E noi oggi lo vedremmo, ancora vivo, nella futile serietà di ogni adulto-davvero-adulto: avvocato, magari, o professore. E invece s'è ostinato, per tutta la vita, a restare quattordicenne, a conservare dentro di sè un pò, anzi molto della fragile ricchezza dell'adolescenza. Ci si è dovuto impegnare. Ci ha dovuto mettere del coraggio, molto più che nei suoi furti d'amore.
Era coraggioso, nonostante tutti i suoi difetti, Antoine Doinel. La sua non è stata una vita esaltante, non è stata una vita eroica. E' stata una "vita e basta". Proprio per questo c'è voluto coraggio, a viverla. C'è voluto coraggio prima a mentire, a rubare baci. Poi ce n'è voluto a sposarsi. Certo alla fine s'è deciso per una donna, una sola, iniziando - come si dice - "una vera vita in comune". Insieme con la sua Sabine, dobbiamo ricordarlo "deliberatamente, sfacciatamente o, se si preferisce, disperatamente felice". Durerà tutta la vita? I due non possono saperlo, ma si dicono l'un l'altro: Si può fare come se, si, è così, facciamo come se". Un modo sottile e coraggioso di mentire e rubare, il come se. Ci si può credere, se si ha voglia di farlo.



Roberto Escobar


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